LA POUDRE

“Chi applica esclusivamente la cipria (…..), si propone come fine e scopo la scomparsa dalla carnagione di tutte la macchie che la natura vi ha oltraggiosamente disseminato e di creare un’unità astratta nella grana e nel colore della pelle, che accomuna immediatamente l’essere umano alla statua ossia ad un “essere divino e trascendente”. 

Charles Baudelaire.

Sembra che il suo nome tragga origine da Cipro, isoletta magica dove la dea Venere venne trasportata dopo la sua nascita dalla spuma marina. Sinonimo di bellezza la cipria ha segnato epoche storiche e rivoluzioni, imbiancando guance e décolletés delle regine e delle cortigiane. 

Dalla notte dei tempi ai giorni d’oggi, quest’impalpabile polvere di Venere ha avuto alterne fortune; sempre però ha fatto guadagnare i suoi produttori. 

Oggigiorno le donne si sono di nuovo appropriate dell’arte di incipriarsi il naso lucido, quasi si rievocassero i visetti di un tempo, così delicatamente incipriati dietro lo schermo romantico di un ventaglio o di una preziosa veletta. Prodotto tradizionale per eccellenza, la cipria è un ingrediente assolutamente indispensabile per un maquillage raffinato, ha recuperato il ruolo che le compete, anche se dopo un transitorio oblio. 

Sono due le tendenze significative da distinguere che si sono succedute nel tempo:

1) la moda della “Carnagione Bianca”: è importante ricordare che la preoccupazione primordiale era di avere una carnagione bianca. Questo per motivazioni eterogenee, relativamente alle civiltà e ai secoli, dall’antichità fino all’epoca contemporanea;

2) la moda della “Carnagione Abbronzata”, di cui si manifestano i primi segni nel 1925.

Le origini

Nell’antichità, l’Egitto fu la patria originaria dei belletti per eccellenza. Nel tardo Egitto la moda ellenica aveva soppiantato quella più antica e indigena, ed il colore stesso della pelle degli egiziani si era schiarito a causa delle continue contaminazioni da “popoli chiari”. Si creò così il contrasto tra l’uomo, la cui vita incentrata sull’attività all’aperto ha abbrunito la carnagione e la donna, la quale manteneva una pelle fresca e madreperlacea restando al riparo dagli agenti atmosferici. Per affermare la propria condizione di creatura raffinata e fragile, comparata alla forza virile, al pari del proprio ceto sociale, la donna prediligeva trattamenti di bellezza atti ad esaltarne l’immagine “lattea”, applicando sul viso il Talak (progenitore del talco), a base di biacca, farina di fave e gesso polverizzato. L’uso di schiarire la faccia doveva essere abbastanza diffuso, infatti lo storico Erodoto (V secolo a.C.) ci ricorda che in Etiopia “le donne sono solite sbiancarsi la pelle con l’applicazione del gesso”. 

I sempre più frequenti contatti con le civiltà orientali facilitarono la diffusione dei belletti anche in Grecia. Protagonista di un’emancipazione estetica, la donna ricorre manifestamente al maquillage. Si trucca abitualmente dopo la toeletta del corpo, adotta polveri bianche come calce, gesso, argilla bianca (caolino), scagliola, oppure terra di Selinunte (dona lucentezza al viso). Denominato Psymuthionil bianco di biacca, o carbonato di piombo, conferisce candore alla pelle. 

I cosmetici vengono acquistati presso confezionatrici di droghe che abusano della credulità della gente, oppure vengono preparati a domicilio, seguendo ricette orientali trasmesse da madre a figlia. 

A Roma era consuetudine cospargersi di cipria tutto il corpo, utilizzando inoltre il lomentum (farina di fave) e il gesso proveniente da Creta. 

Per quanto riguarda gli applicatori disponiamo di un’illustrazione molto antica che rappresenta un piumino per cipria: una stele gallo-romana raffigurante una donna davanti alla toeletta, circondata dalla schiera di ancelle, una delle quali impugna per l’appunto l’accessorio. 

Durante il Medioevo e fino al XIV secolo, in Francia, benché la carnagione alabastro fosse indice di raffinatezza, il maquillage sembra attraversare un periodo di oblio; rimane un’esclusività delle donne di malavita. 

Le signore arrivano ad avere idealmente una pelle talmente trasparente che all’atto di deglutire, corrisponde la visione del vino fluente attraverso la gola. Le ciprie furono messe in vendita presso i guantai ed i profumieri nel 1190. La cipria recupera la posizione di rilievo solo alla fine del XV secolo e soprattutto dal Rinascimento.

Le carnagioni pallide furono particolarmente valorizzate presso la corte di Caterina de Medici in Francia. I livelli talmente elevati raggiunti dall’utilizzo dei fard e delle ciprie non impedirono ai predicatori di rimproverare le donne di recarsi in chiesa “infarinate come mugnaie”.

La consuetudine di utilizzare dei fard, in netto contrasto con la gente di origine contadina, fu esclusivo privilegio di un’élite sociale. Fustigatori contro la depravazione della Corte de Valois, teatro indiscusso dei re di Francia ammaliati da donne esperte nell’arte di valorizzare e di reiterare il loro fascino e da uomini ottenebrati da analoghe velleità, furono i predicatori cattolici. La fine del XVI secolo venne insanguinata dalle guerre civili che segneranno di conseguenza l’affievolirsi della moda dei trattamenti di bellezza. 

Ciprie italiane

Furono gli italiani, presso la Corte di Caterina de Medici, a diffondere il prodotto più rinomato nella cura del viso: triturate e setacciate, le polveri di amido e di frumento vengono epurate mediante acquavite per prevenire la fermentazione. In seguito attraverso il metodo enflourage, ai fiori di rosa, gelsomino, arancio e garofano di maggio, giunchiglia, vengono profumate e in fine rese translucenti con perle provenienti dall’Oriente. 

Nel XVII secolo la parrucca diventa l’acconciatura di tutti: l’uso della cipria è indispensabile. Le parrucche vengono pettinate con l’aiuto di capelli naturali (come ai giorni nostri l’extension è l’ultima tendenza) e, le più elaborate e raffinate, con l’applicazione di una polvere per capelli color biondo o bruno, polverizzandovi del sublimato, della biacca, del bianco (gesso), della polvere di perle calcinate (bruciate), etc.

Mentre i maestri guantai ottennero l’autorizzazione alla produzione per la polvere per capelli, ai barbieri ne era concessa la vendita, questo accadde nel 1674. 

1) nota Zerbinotti: giovanotti estremamente ricercati di un’ostentata eleganza.

A cavallo tra il XVII e XVIII secolo, la polvere di Ciprio, che proveniva soprattutto dalla Francia, dalle Fiandre o dai Muschieri di Venezia, (una corporazione di merciai), veniva venduta sfusa a prezzi esorbitanti. Com’è risaputo il Settecento fu un secolo molto propizio alla diffusione della poudre, il pallore del viso e il candore dei capelli, sia per gli uomini che per le donne, erano considerati irresistibilmente avvenenti. 

Capitale incontrastata era, com’è noto, la Francia o meglio la Corte Reale.

Il boom del XVIII secolo.

Più che un vero e proprio boom fu un fenomeno che rese fondamentale il suo utilizzo: uomini, donne, bambini; militari e religiosi (che nei secoli precedenti tentarono d’impedirne la diffusione) sono tutti “incipriati”, senza eccezioni. Nel 1740, visti i problemi contingenti relativi alle provviste alimentari, viene vietato l’utilizzo della farina, perché la quantità di cipria utilizzata raggiunge livelli troppo elevati.

Per applicarla, infatti, il parrucchiere, concluso il lavoro di acconciatura, brandendo un grosso piumino asperge il cliente di cipria (l’azione viene chiamata “incipriare di bianco”); oppure la cipria viene lanciata contro il soffitto da dove viene lasciata ricadere sulla testa del cliente, (“incipriare a galaverna”) metodo particolarmente apprezzato dalle coquette.

Verso il 1760 le ciprie, sia bianche che d’oro, trionfarono definitivamente, come testimonia il Parini (1729/1799) nel poema Il Giorno:

“La bianca polvere

in piccolo stanzin con l’aere pugna e degli atomi suoi tutto riempie

ugualmente divisa. Or ti fa core,

e in seno a quella vorticosa nebbia

animoso ti avventa”.

A caratterizzare la cipria è il profumo di cui è impregnata: i profumieri mettevano assieme fiori (iris, violetta, garofano) e amido; confezionavano delle ciprie aromatiche, che venivano poi mescolate con zucchero e amido, per consentire alla polvere di aderire alla capigliatura. 

Una delle più difficili da preparare era la cipria a la Maréchale, i cui componenti erano: ambra grigia, ambretta, calamo, iris fiorentina, legno di garofano, chiodo di garofano, grani di aneto, corteccia di limone, fiori d’arancio, ecc. Mentre sotto l’impero le risorse della profumeria si ampliano. 

La francese Josephine Beaurnais, famosa nelle cronache dell’epoca, mise in voga la cipria alla vaniglia costituita dai seguenti ingredienti: mussola indiana, ambretta che confluisce con l’iris e tutte le spezie esotiche, cannella, chiodo di garofano, zenzero, noce moscata. 

Per celare le imperfezioni ed i segni del deterioramento, il viso deve essere ricoperto da una miscela di gesso, costituita da ossidi metallici, l’arte delle mistificazioni è questa. L’imperativo è bianco. 

Fonte di seduzione e di schermaglie d’amore, l’alta società francese raggiunge un livello di raffinatezza estrema. Compaiono le prime etichette stampate, a taglio dolce o in tipografia, i marchi di prodotto, (Houbigant 1775), della pubblicità per contrastare la concorrenza. 

Il pallore riconquista il suo indice di distinzione, purtroppo senza cipria, le capigliature femminili e le sue fogge si articolano in riccioli sciolti, tutto ciò sotto il regno di Luigi XVI. Alcuni zerbinotti salgono sul patibolo col capo incipriato e con le labbra color carminio nel periodo della Rivoluzione. L’austerità è l’ordine categorico in voga. Finisce quindi uno stile di vita. Vengono celebrate le esequie delle ciprie e delle parrucche, con la Rivoluzione cadono le teste e le parrucche e con esse l’uso della cipria. 

L’Ottocento.

L’avvento del romanticismo fa scomparire i belletti (per lo più rossi), ma non la poudre de riz che con applicazioni “filosofiche” totalmente diverse da quelle del secolo precedente diventa una sorta di vessillo dell’incarnato esangue delle eroine romantiche. Il trucco si applica, ma non si dice. Solo le ballerine, le demie-mondaine amano e ostentano l’uso dei belletti e dei profumi. Il prototipo perfetto dell’eroina, in epoca romantica, impersona un atteggiamento di ideale “serafico”, un rinnovato periodo di auge viene ripercorso dalla moda della donna pallida e madreperlacea; il viso è sempre pallido, di trasparenza, diafana la carnagione, sostituendo il bianco di cerussa (biacca) con un impalpabile velo di cipria.

Per le donne dai retti costumi la fragranza della cipria viene ad unirsi con quella del proprio profumo.

Realizzata per le attrici, la cipria ed i fard da scena di Bourjois ottengono rinomanza, succede nel 1863. Adottata e riprodotta in tutto il mondo la cipria di Javan, il cui successo è evidente: viene prodotta in 2.500.000 di esemplari all’anno. 

L’epoca moderna

Furono i primi truccatori di Hollywood, antesignani del trucco moderno, a utilizzare la cipria come fissatore del trucco del XX° e del XXI° secolo.

Sono gli anni di Ben Turpin, il comico strabico, e Charlie Chaplin: i comici del cinema muto sanno che il segreto del loro successo risiede in gran parte nella qualità della minima facciale. Perciò si anneriscono occhi e sopracciglia che contrastano sulle facce incementate dalla biacca che paralizza la loro espressività. Sarà grazie a Max Factor che la biacca diviene flexible e colorata. La sua esperienza e abilità professionali lo portarono a concepire, per la prima volta nel mondo moderno dei cosmetici studiati appositamente per le esigenze cinematografiche. Factor studiò una nuova formulazione. Il nuovo cerone in crema fu usato per la prima volta nel ’14 dall’attore Henry B. Wathall per un provino: un vero successo. L’incontro con Rodolfo Valentino dà a Factor l’idea di creare tonalità in accordo con quelle della pelle. Il cerone chiaro ed uniforme non valorizza l’incarnato mediterraneo di Valentino, lo appiattisce, snaturalizzandolo. La base divenne morbida ed elastica ma troppo lucida: per fissarla ed opacizzarla ricorrerà dalla “polvere”: un antico prodotto usato per profumare guanti e per l’igiene personale. Nasce la cipria. Factor la applica abbondantemente sulla base grassa, ne asporta l’eccesso con una spazzola morbida e le bagna con abbondante acqua fresca per fissre il tutto: nasce l’era del trucco moderno. Nei decenni a venire, la qualità della cipria venne continuamente migliorata. Nacquero le invisibili e le trasparenti. Si sostituisce la cipria compatta da borsetta adatta al ritocco estemporaneo e quella in polvere, leggerissima per il fissaggio professionale. Le polveri vennero micronizzate, miscelate a perle e a mica fluorescente. Vennero inventate ciprie verdi, azzurre, rosa e gialle per correggere la tonalità dell’incarnato.

Tutto il resto è storia di oggi…