Discriminazione e razzismo.

Intolleranza e Discriminazione: una ricerca di Stefano Anselmo

Da dove arriva la parola Intolleranza e Discriminazione? Lo scopriamo insieme attraverso la ricerca del Maestro Stefano Anselmo.

Ecco la seconda parte dell’articolo su questi 2 temi:

Screditamento culturale


La formula dello screditamento messo in atto per giustificare azioni e atteggiamenti altrimenti considerati immorali, venne reiterata a più riprese applicandola ogni qualvolta se ne presentava l’occasione o la necessità: gli Africani selvaggi, incolti e incapaci di produrre arte e civiltà, andavano educati e per contro era giusto compensare economicamente lo sforzo attingendo alle risorse umane e naturali, così abbondanti in Africa. In ordine a questo modo di agire si tese a negare l’origine autoctona delle opere pregevoli con la “certezza” che gli Africani non fossero capaci di fabbricarle, ricercandone la paternità in altri popoli bianchi.

Il razzismo e lo screditamento.


Tutto ciò era in linea perfetta con la teoria del conquistatore Rhodes (da cui la vecchia denominazione Rhodesia, l’attuale Zimbabwe), secondo il quale gli Africani non possono essere stati in grado di dar luogo a una civiltà così importante da costruire il Grande Zimbabwe con grandi mura costruite con una tecnica grandiosa per concezione, che non ha paralleli nel resto dell’Africa né in altri continenti. Per costruire le fortezze che risalgono al V-VI secolo infatti, vennero impiegati blocchi di pietra da una tonnellata, disposti in modo da creare un complesso effetto decorativo. Solamente pochi decenni addietro, grazie a sofisticate tecniche di indagine, la scienza sentenziò che si trattava di costruzione fatte da Africani doc. Tuttavia, i libri che diffondevano le teorie di Rodhes vennero stampati e ristampati per molti decenni e, ancora oggi, alcuni editori “superficiali” non hanno ancora rettificato l’informazione. In questo modo nella testa dei più l’inferiorità degli Africani divenne un fatto assodato.

Diversamente, alcune di queste antiche culture erano così avanzate da aver stabilito rapporti commerciali con l’estremo Oriente, sembrerebbe, fin dalla fine del IX secolo. Ne sono testimoni le vestigia dello Zimbabwe, di Lamu in Kenia e di Kilwa in Tanzania, città stato distrutta dagli uomini del portoghese Vasco da Gama nella seconda metà del 1400. Questi ruderi mostrano ancora oggi ceramiche cinesi inserite nella malta come decorazione architettonica. Altre ceramiche sono emerse da scavi. Inoltre in Cina è conservato il disegno di una giraffa portata dal viaggiatore Zheng He, donata dal re di Malindi all’imperatore cinese: siamo a poco meno di un secolo prima della scoperta dell’America. Tra le rovine di Zimbabwe e nei dintorni, furono ritrovate anche monete cinesi degli anni compresi tra il 713 e il 742 d.C.; alcune dell’845 e in maggior quantità monete in uso in Cina dal 1068 al 1086 e altre ancora tra il 1131 e il 1163. Sappiamo anche che nel 1312, Abubakari II, imperatore del Mali, partì con una spedizione di circa 180 navi per esplorare l’oltre oceano. Infatti, durante il 2° viaggio di Colombo, i nativi gli raccontarono di uomini di pelle nera arrivati prima di lui. Come prova, essi gli donarono le lance con la punta di metallo giallo appartenuti a questi musulmani africani di pelle scura. Tornato in Spagna Colombo le fece esaminare e si scoprì che il metallo era 18 parti di oro (56.25%), 6 parti di argento (18.75%) e 8 parti di rame (25%), la stessa ratio del metallo prodotto nelle officine africane della Guinea.

Razzie e soprusi


Per secoli negazionismo e censura nascosero o giustificarono le malefatte dell’Occidente. Su questo argomento la documentazione è talmente ampia da occupare un intero volume. Ci limiteremo quindi a fornire al lettore un paio di esempi.

The city of blood


1897: gli inglesi, allettati dalla gran quantità di oggetti pregiati, distrussero la città-stato di Benin per impossessarsi dell’enorme bottino consistente in alcune migliaia di pregevolissime sculture e manufatti in bronzo, avorio, terracotta e legno che furono portate in Europa e sparpagliate tra musei e collezioni private. Gli inglesi giustificarono i propri atti di sangue inventando storie raccapriccianti di sacrifici umani avvenuti annualmente nella città. Benin City divenne nota in tutto il mondo come “city of blood” e il re denunciato come abominevole selvaggio e demone in figura umana. Il tutto diffuso dalla stampa sensazionalistica inglese che non di rado si serviva di immagini tendenziosamente ritoccate al fine di svalutare la cultura e la società del Benin. Con la diffusione delle opere d’arte razziate però, risultò sempre più difficile sostenere l’immagine della “razza degenerata” che non mostrava “alcun segno di civilizzazione”, pretesto con il quale era stato distrutto il paese. Per questo motivo venne proposto un nuovo “modello” capace di sciogliere la contraddizione tra la grandiosa arte locale e la pretesa barbarie in uso. Venne spiegato che le opere d’arte appartenevano ad una civiltà all’apogeo molti secoli addietro, poi decaduta allo stato selvaggio, cui solo il “civile Occidente” avrebbe potuto porre fine. Si giunse anche alla convinzione “scientificamente riconosciuta” che nessun abitante del regno del tempo fosse capace di produrre quel tipo di arte e quindi le opere d’arte divennero “resti di una precedente e maggiore civiltà”.

In questo modo si diffusero gli stereotipi razzisti europei, che tutelavano interessi commerciali, minimizzavano misfatti militari e legittimavano spoliazioni coloniali.

A causa di ciò l’immagine dell’Africa, allora corrente in Occidente, rimase sostanzialmente inalterata.

Il giardino personale di Re Leopoldo di Belgio


Il 2 maggio 1885 il Re del Belgio Leopoldo II istituisce formalmente lo “Stato Libero del Congo”: un territorio immenso oggi corrispondente alla Repubblica Democratica del Congo, fino a quel momento quasi totalmente inesplorato e che Leopoldo utilizza come proprietà privata. Ricchissimo di risorse, tra cui il caucciù, in breve tempo il Re lo fa sfruttare per arricchirsi in modo ingente. E, per mettere in pratica il suo progetto, si stima che schiavizzi circa il 35% della popolazione. Chi non riesce a raccogliere la quota giornaliera di caucciù richiesta viene ucciso senza pietà. In un primo tempo, con un colpo di pistola poi, sospettando che i proiettili vengano usati per cacciare, amputando loro gli arti e lasciandoli morire dissanguati: in un paio di decenni le risorse di caucciù calarono notevolmente e le violenze diventarono sempre più brutali.
La documentazione fotografica di questi crimini è abbastanza ampia: uomini e ragazzini con arti (perlopiù mani) amputati o deformati da una maldestra amputazione. Drammatico e significativo, poi, è l’episodio di Nsala, padre di Bolai, ragazzina di 5 anni “colpevole” di non aver raccolto sufficiente caucciù. I belgi la martoriarono, la uccisero insieme alla madre e le tagliarono mani e piedi riportandoli a Nsala come terribile monito. Entrambi i corpi furono poi cannibalizzati dai soldati belgi.
In una foto ormai storica, si vedono la mano e il piede della bimba, amputati e appoggiati a terra a poche decine di centimetri dal padre. L’immagine è di Alice Seeley Harris, una missionaria che ha documentato e denunciato gli abusi in Congo.

Studiare la storia della Repubblica Democratica del Congo permetterebbe facilmente di comprendere tutte le devastazioni sociali, umane e ambientali che gli invasori e i colonizzatori hanno perpetrato per secoli e continuano ancora oggi nel continente nero.
Analizzare il passato per comprendere il presente è l’antidoto all’ignoranza e ai luoghi comuni e la risposta a chi persevera nel pontificare e nel giudicare gli altri.

Mitridatizzazione


Per quasi due secoli, l’Occidente ha diffuso con ogni mezzo informazioni distorte che hanno plasmato la mente dei giovani, gli adulti del futuro lì a venire; informazioni che inducono a credere (ed è quello che pensano ancora non pochi Occidentali), che la disparità tra Bianchi e Neri dipenda da motivazioni “naturali” e che questi ultimi siano di fatto canditati a vivere in uno stato di inferiorità.
Un esempio esemplificativo di informazione manipolatoria, ci viene dal volume II dell’Enciclopedia Illustrata dei Ragazzi , pubblicata intorno agli anni ’50 dove i giovanissimi trovavano letture che favoriscono la diffusione e la conseguente cronicizzazione di ideologie preconcette, luoghi comuni, e pregiudizi di stampo razzistico. Un esempio per tutti lo vediamo a pag 951, nella parte dedicata alle curiosità dove si domanda: “Perché gli abitanti dei paesi caldissimi sono neri?” La risposta parte dal presupposto che l’uomo sia stato creato bianco (quindi europeo) e poi si sia degenerato scurendosi per adattamento climatico, formando “una razza completamente a sé. Probabilmente bianchi in origine, hanno scurito la pelle per effetto del sole e propagati e moltiplicati i figli dei figli di quelli che avevano la pelle più nera e resistenza fisica più tenace al calore e al clima, hanno formato una razza completamente a sé”.
Una volta adulti e assuefatti al veleno assimilato lentamente e costantemente per anni, gli ex giovani sono diventati sostenitori e talvolta inconsapevoli portatori sani, del razzismo istituzionalizzato della società di oggi. Che si verifica quando non esiste un atteggiamento esplicito che faccia supporre una discriminazione, ma il risultato finale nei comportamenti è inequivocabilmente razzista. All’origine di questi comportamenti c’è una cultura del razzismo radicata nella società che è la stessa società che esalta l’impegno formale all’uguaglianza.

La tavola IV dell’enciclopedia “Popoli e Razze” recita: “Danza con l’arco di nobili tutzi (wa Tutsi; Rwanda Urundi). Nonostante il colore scuro della loro pelle, i tutsi non sono negri, ma discendenti di uno stato camita” (leggi hamita ).

É la società di oggi, figlia del razzismo, risultante di secoli di discriminazioni e di atteggiamenti xenofobici. La maggior parte delle persone sono cresciute immerse in questa cultura assorbendone inconsapevolmente tutti gli aspetti negativi, condizioni storiche e culturali che hanno modellato sia la percezione nostra occidentale, sia quella degli Africani e dei Neri in generale.
Di più: la didascalia della Foto dell’enciclopedia “Popoli e Razze” veicola un messaggio fortemente razzista e nega l’evidenza; è il portato del Razzismo scientifico ancora dominante in quegli anni.
In Italia, lo strascico del razzismo fascista non aiutò certo a migliorare le cose. L’inferiorità dei Neri visti alla stregua di una sorta di distrazione della natura, faceva parte del pensiero comune e di quello scientifico. Su Epoca, infatti, prestigioso settimanale di informazione e cultura del 16 ottobre 1960, troviamo ancora ben 2 corposi articoli sul tema. Il primo (pagg. 69/71), più mondano, è dedicato a Henry Belafonte , musicista statunitense fervente attivista per i diritti civili degli Afroamericani. Quasi a punire l’audacia di non accettare la sua “naturale” posizione inferiore nella società, il sottotitolo insinua subdolamente e senza alcun fondamento, che Belafonte vorrebbe essere bianco e si sente umiliato del fatto di non esserlo; un arrière pensée molto frequente nel XX scolo. A pag. 22, invece, un titolo dal piglio molto serioso sancisce: “Non confondiamo razze e razzismo” ma nel sottotitolo precisa: “L’inferiorità intellettuale dei negri è provata, mai bianchi hanno il dovere di trattarli con giustizia e carità!

Il ruolo della Chiesa


Su questo dibattito antropologico, la Chiesa, giocò un ruolo fondamentale. Come per l’Olocausto degli Ebrei, la Chiesa si macchiò di gravi colpe e responsabilità accettando o nicchiando sulla discriminazione dei popoli neri. I fautori dei racconti biblici sulla dispersione dei popoli (Babele, Kam, ecc), si sentivano in dovere di rispondere alle sfide della Scienza. Questo sforzo viene chiaramente documentato da varie pubblicazioni a partire dal 1880: dai manuali del sulpiziano F. Vigouroux, fino al suo “Dictionaire de la Bible” del 1926.
L’episodio biblico della torre Babele, fece di quello della maledizione di Cam un episodio decisivo: i Camiti puniti per l’atto di superbia di Cam, relegati nelle terre più lontane (più lontane da chi o da dove, non viene spiegato) e bruciate dal sole.
In questo contesto, la distinzione tra “Hamiti” e “Negri (Camiti)”, diviene spiegabile indicando i primi come soggetti nati dall’ibridazione tra i figli di Cam e i figli di Sem. Più ironicamente potremmo dire che si tratta di “Camiti semitizzati” o di “Hamiti decamitizzati”.
Queste teorie vennero sostenute e diffuse da due Padri bianchi di grande autorevolezza: il vescovo francese Gorju e l’olandese Van der Burgt, nel 1903, noti anche per aver “spiegato” l’origine dei Tutsi del Burundi e del Ruanda.
L’esegeta francese August Knobel, anch’esso parlando dei Tutsi, afferma che “gli hamiti, sebbene siano scuri di pelle appartengono, come gli jafetiti e i semiti, alla grande classe caucasica: i negri sono un’altra razza umana”.
Nel 1902 Léon Classe, futuro vescovo in Ruanda, notò che i Batutsi “sono uomini splendidi, con tratti fini e regolari, con elementi di tipologia ariana e di tipologia semitica”. Senza entrare nei dettagli evidenziamo che tutta la letteratura d’epoca, appoggiata da leggende ritenute fatti reali e adattamenti etimologici fantasiosi, finì per diffondere l’idea che la regione dei Grandi Laghi fosse una sorta di seconda Etiopia, paradiso dei popoli Hamiti (caucasoidi dalla pelle scura). I responsabili dell’amministrazione e i missionari che operarono in Rwanda e in Burundi, erano impregnati di questa letteratura romantica ed erano seriamente convinti del carattere orientale, egiziano (gli Egizi erano già stati caucasizzati da tempo) o etiope e quindi straniero, dei Batutsi. Il governatore Pierre Rickmans, negli anni 20-30, comparò i Batutsi ai faraoni Ramses e Sesostri . Uno degli effetti prodotti da questa ideologia fu dimenticare il senso iniziale della sua definizione: la parola Hamita venne depurata e liberata dai suoi riferimenti biblici che ne contrassegnavano inevitabilmente la co-genesi con la razza nera, per venire tradotta, filtrata dall’arabo, in “bruno rossastro”. Convinzioni diffuse, descritte, per esempio, dal volume del canonico francese L. De Lacge (del 1939 e ripubblicato nel ’59), storico ufficiale del Rwanda e maestro di pensiero e guida morale dei seminaristi di Kabgay.
E come scriverà padre François Ménard nel 1917 “il Mututsi è un Europeo con la pelle nera” . J. H. Shelke, l’esploratore inglese, si spinge oltre l’immaginabile e vede nei Watutsi e negli Wahuma, degli antichi cristiani che hanno dimenticato la tradizione biblica: “(…) erano dei cristiani come noi e se i Wahuma non avessero perso la conoscenza di Dio, lo sarebbero ancora.”
In questo modo si salvarono capre e cavoli: la monogenesi (Adamo ed Eva genitori dell’Umanità) e le diversità razziali riconosciute dalla scienza ufficiale, potevano convivere pacificamente.

L’omofobia


Come abbiamo visto i Testi sacri hanno condizionato sia il nostro modo di vedere le cose, sia il pensiero scientifico. E, anche per quanto riguarda l’omosessualità, le cose non sono andate diversamente.

L'omofobia


Nella Bibbia, il libro della Genesi narra di come dio rivelò ad Abramo l’intenzione di distruggere Sodoma e Gomorra, perché “il loro peccato era molto grave” e “il grido che saliva dalle loro città era troppo grande”. A noi è stato raccontato che l’origine di tanta furia va individuata nelle loro pratiche sodomitiche. Dio fa sparire le due città, senza salvare nessuno dei suoi abitanti: né eterosessuali uomini o donne che fossero, né bambini e neppure i neonati sebbene non avesse ancora sviluppato alcun senso di appartenenza di genere. Quindi, senza andare troppo per il sottile, dio decise di fare un bel “ripulisti”. Tuttavia ci sarebbero un paio di considerazioni da fare: come mai se dio se l’è presa solamente con quei poveretti e non, ad esempio, con gli egiziani visto che nel Levitico Mosè chiede al suo popolo di non fare come si fa in Egitto e, “non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna”; chissà!
Ma le cose, pare, siano andate diversamente. Infatti, la giornalista Diane Montagna nell’articolo pubblicato su Livesitenews “La storia della città di Sodoma” spiega che il peccato dei sodomiti consisteva in realtà nella mancanza di ospitalità, manifestando ostilità e violenza verso lo straniero. Il Vaticano conferma: il peccato della città era la mancata accoglienza allo straniero. In altre parole, secondo l’esegesi moderna, la diminuzione di importanza dell’ospitalità nelle società moderne, ha portato ad usare il tema della trasgressione omosessuale come il mezzo attraverso cui si esprime la colpa degli abitanti di Sodoma, ma non costituisce la colpa stessa. Del resto, nell’interpretazione ebraica, Sodoma è nominata quale esempio d’inospitalità e mancanza di carità e non per altro: “Ecco, questa fu l’iniquità di tua sorella Sodoma: lei e le sue figlie vivevano nell’orgoglio, nell’abbondanza del pane e in una grande indolenza, ma non sostenevano la mano dell’afflitto e del povero”; Ezechiele, 16, 49.
Inoltre, lo storico cattolico John Boswell afferma che il “fraintendimento” va ricercato nel verbo yâdha‘ usato dagli abitanti di Sodoma per fare sapere a Lot come loro trattano gli stranieri. Tale verbo, viene usato nella Bibbia sia nel senso di “avere rapporti sessuali”, ma quasi esclusivamente di “conoscere”. E precisa che, per indicare un incontro sessuale, esso viene utilizzato solamente 10 volte su 943. Per cui, secondo Boswell, gli abitanti di Sodoma volevano solo “conoscere”, magari con intenzioni poco amichevoli quegli estranei che Lot, anche lui straniero aveva ospitato, perchè potenzialmente potevano essere spie nemiche. Comunque siano andate le cose, resta che ancora oggi a parola sodomita riferisce di persone (uomini e donne) che praticano rapporti anali.
Nella cultura greca, ma anche riguardo alla Roma imperiale, sono numerosi i riferimenti agli omosessuali (uomini e donne). In Grecia, “l’omosessualità” era vista come pratica indispensabile, nel contesto iniziatico e pedagogico che unisce l’erastes (l’uomo adulto) all’eromenos (il suo amato, di età compresa tra i 12 e i 18 anni); infatti, l’arte greca celebra ampiamente l’amore maschile come dimostrano vasi e statue. Ne Il Simposio, Platone lo descrive come una delle più alte forme d’amore, mentre l’omosessualità femminile è raramente menzionata. Nella società romana fortemente patriarcale imperniata sulla valorizzazione della virilità e caratterizzata dalla sottomissione della donna e dalla schiavitù, il partner passivo, se adulto e uomo libero, veniva disprezzato.

Pratica contro natura


San Paolo, sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino hanno fortemente influenzato la tradizione cristiana a sfavore dell’omosessualità marchiandola con l’infamia di “crimine contro natura” in quanto disturba l’ordine divino della differenza dei sessi. E non a caso le persecuzioni degli omosessuali sono documentate fin dal IV secolo dell’era cristiana. Sotto i regni di Teodosio e di Giustiniano era previsto il rogo. In Occidente, dal V fino al XIII secolo, la repressione è proseguita in modo irregolare, mentre in Oriente, a partire dal IV fino al XII secolo, vi furono numerosi esempi di cerimonie religiose che “ufficializzavano” relazioni affettive tra persone dello stesso sesso.
Ancora oggi, l’omosessualità è ancora vista da molti come ”pratica contro natura”. Lo ha confermato anche Michele Napoli consigliere comunale di Fratelli d’Italia il 14 settembre 2020. Tuttavia con buona pace di Michele Napoli, l’omosessualità esiste in natura e anche abbondantemente, dalle papere agli insetti. Sono stati documentati comportamenti omosessuali in quasi 1.500 specie, sia in cattività che in ambiente naturale. Questi comportamenti sembrano diffusi tra insetti, uccelli, e mammiferi (in particolare delfini e pecore), e soprattutto tra le scimmie antropomorfe.
Forse riportando l’attenzione sui dati scientifici sull’omosessualità in natura, si può aumentare lo spirito di tolleranza e accettazione e magari, scomodando anche Aristotele il quale diceva: “la natura non fa nulla di inutile.”
Ecco un breve elenco di animali con comportamenti omosessuali: Albatros, Anatra, Ariete, Bisonte americano, Bonobo e altre scimmie, Cane, Cervo, Cigno nero, Cimice, Delfino, Elefante, Gabbiano, Gatto, Giraffa, Libellula, Iena, Leone, Lucertola, Macaco giapponese, Marmotta, Moscerino della frutta, Orso, Pecora, Pinguino, Pipistrello, Puzzola, Tartaruga, Tricheco.

Comunque è la sodomia ad essere stata più demonizzata rispetto all’omosessualità tout court, sebbene i confini tra le due fossero piuttosto nebulosi. Infatti, l’accusa di sodomia associata alla brutalità, veniva criminalizzata sia all’interno di pratiche omosessuali che eterosessuali.
L’omosessualità femminile è sempre rimasta nell’ombra, tranne quando la donna rivendicava i privilegi ritenuti appannaggio del maschio. D’altronde, la negazione dell’esistenza dell’omosessualità è sempre stata uno delle strategie più diffuse per “dimenticare” i diritti delle persone omosessuali. E ancora di più per le lesbiche. Se la storia delle donne è spesso dimenticata se non omessa, quella dell’omosessualità femminile è stata totalmente ignorata.

L’Europa antica e medievale


E comunque di regnati e personaggi noti, con “passioni particolari” ne è piena la storia. Ve lo ricordate Ludig di Baviera? E Alessandro Magno re della Macedonia? Quest’ultimo ebbe due grandi amori: Efestione, un comandante del suo esercito, “compagno” devoto fino alla morte e Bagoas, un eunuco ballerino e musicista. E come dimenticare la coppia gay più celebrata della storia: l’Imperatore Adriano e il giovane Antinoo di Bitinia di cui era innamorato pazzo; o Eliogabalo che si presentava al popolo vestito d’oro e di porpora, con braccialetti e collane e pesantemente truccato alla moda orientale. Scandalizzò Roma sposando l’auriga Ierocle di Smirne; un uomo.
Neanche tra le varie monarchie che si sono susseguite negli ultimi secoli non mancarono sovrani omosessuali: Edoardo II re di Inghilterra e il nobile Gaveston, suo amante, tanto per fare qualche nome; Giovanni II il bello re di Francia che amò profondamente Carlo de la Cerda, Enrico III di Valois e la sua corte di giovincelli; Giacomo I re d’Inghilterra di cui si conservano le lettere d’amore inviate a George Villiers duca dei Buckingham; Gustavo III re di Svezia sempre e solo circondato da uomini che accoglieva volentieri nel proprio letto.

L’omosessualità in Africa


Nella maggior parte dei paesi africani l’omosessualità è vista come un’onta, grazie anche al fatto che buona parte dei politici e degli uomini di “chiesa” sostengono che siano stati i colonizzatori a portarla in casa loro e che prima non ve ne era traccia nei costumi africani. Come risultato abbiamo parecchi paesi in cui l’omosessualità viene punita con la morte: Mauritania, Sudan, Nigeria settentrionale e Somalia meridionale. In altri paesi è considerata un reato ed è punita con il carcere; in particolare in Gambia, Sierra Leone, Uganda, Kenya, Tanzania, Zambia, è previsto l’ergastolo. In l’Eritrea e in Sud Sudan l’omosessuale se la cava “solo” con 7- 10 anni di prigione, mentre in Libia e in Camerun la detenzione è di 5. Tre anni o poco meno in Ghana, Guinea, Marocco, Togo, Tunisia, Algeria, Chad Liberia e Zimbabwe. In molti dei paesi menzionati sono previste anche sanzioni economiche.
A questi vanno aggiunti altri dove l’omosessualità non è criminalizzata per legge ma, fortemente, ostacolata dalla società ipocrita, come ad esempio l’Egitto; in 22 stati, tra cui Niger, Mali, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Congo, Gabon, Madagascar, non è prevista alcuna protezione per gli omosessuali, ma nemmeno una criminalizzazione specifica.
Diversamente da quanto affermato dai “potenti”, l’omosessualità esisteva in Africa prima del colonialismo ed era accettata. Lo dimostra il recente rapporto realizzato da Sexual Minorities Uganda. Nel 2001, Steph O. Murray ha pubblicato Boy Wives & Female Husbands: Studies of African Homosexualities, il primo trattato di antropologia, storia, etnografiia e fonti letterarie per fornire uno sguardo ben studiato su quello che è stato a lungo una realtà negata delle società africane. Anni dopo, il fotografo Yannis Guibinga ha completato la ricerca con immagini pubblicate sul libro per la serie Boy Wives & Female Husbands.
Il rapporto realizzato da “Sexual Minorities Uganda”, per dissipare la confusione e le bugie che circondano l’Uganda dopo l’approvazione della legge “Anti-Homosexuality Bill” del 2009, documenta più di 20 società omosessuali che fanno parte della cultura e della storia africane. Del resto sappiamo che l’omofobia populista ha mantenuto al potere molti politici in tutta l’Africa, perché, se demonizzi le persone gay, ottieni voti. Perciò, finchè persiste l’idea che l’omosessualità sia non africana, i dittatori avranno terreno spianato verso il potere.
Nel loro saggio i ricercatori Stephen Murray e Will Roscoe hanno fornito ampia documentazione a sostegno del fatto che l’omosessualità è stata “caratteristica coerente e logica della stessa civiltà, dei sistemi e delle credenze del Paese”. La maggior parte delle informazioni proviene dai diari dei primi viaggiatori, missionari, funzionari coloniali e, più recentemente anche antropologi. Per quanto riguarda le società africane, non disponiamo di documentazione scritta da popolazioni indigene ma provenienti da altre fonti, quali rilievi in loco. Per esempio vi sono scene particolarmente “esplicite” di pittura dei Boscimani che raffigurano soggetti dello stesso sesso in attività sessuali e altri dati circa il passaggio all’età adulta che all’interno di molti gruppi etnici contemplava attività sessuali tra persone dello stesso sesso.
Come abbiamo già visto, dove l’influenza occidentale, cristiana, islamica e marxista, è stata più pervasiva, si è diffusa l’dea che l’omosessualità sia una “decadente innovazione borghese” imposta dall’a cultura occidentale o dai mercanti di schiavi musulmani. Le cause di questo revisionismo storico va ricercato nel mito di una innocenza sessuale “primeva”, o più appropriatamente non conoscenza che oggi nella maggioranza degli Stati africani, viene utilizzata per approvare legislazioni anti-gay e fomentare l’omofobia e la persecuzione, sfruttando l’ignoranza del popolo perlopiù poco scolarizzato a cui non è possibile accedere a studi approfonditi.

I diritti e il razzismo.


La storia africana, annovera molti esempi di omosessualità esistenti all’interno delle regole pre-coloniali e Thabo Msibi e Deborah P. Amory dell’Università sudafricana di Kwazulu-Natal hanno documentato una vasta gamma di pratiche omosessuali in tutto il continente. Nei primi anni del XVII secolo, in quella che oggi è l’Angola, i sacerdoti portoghesi Gaspar Azevereduc e Antonius Sequerius incontrarono uomini vestiti come donne che avevano contratto il loro matrimonio con uomini e riportano (con loro grande stupore) che tali matrimoni erano “onorati ed apprezzati”. In tempi più recenti (1868 –1903), Il Re di Mwanga del Regno di Buganda (parte dell’Uganda dei nostri giorni) è stato ampiamente segnalato per avere rapporti sessuali con soggetti di sesso maschile. Pur essendo apertamente omosessuale, il sovrano era ben accettato dai suoi sudditi, almeno fino a quando gli europei portarono con il Cristianesimo anche la condanna delle sue pratiche.
I viaggiatori europei restarono colpiti e spesso scandalizzati dalle numerose relazioni omosessuali nelle società africane così come fenomeni di travestitismo rilevati in diverse zone come in Madagascar ed Etiopia. Nel 1590 Il viaggiatore inglese Andrew Battel scrisse sugli Imbangala angolani: “Gli abitanti di questo Paese sono bestiali, ci sono uomini in abiti femminili ai quali però è consentito conservare le loro mogli”. In Congo i portoghesi segnalarono una certa diffusione delle pratiche omosessuali e Padre J-B. Labat antropologo del settecento documentò la figura di Ganga-Ya-Chibanda che abitualmente indossava abiti femminili e veniva indicato come “nonna”.
I Pangwe (Camerun e Gabon) avevano abitualmente rapporti sessuali fra maschi di tutte le età, mentre i guerrieri Zande (Africa centrale) sposavano giovani uomini come “mogli temporanee”: la partica era così istituzionalizzata che prevedeva il pagamento dei un “brideprice” (scambio di un determinato numero di capi di bestiame tra lo sposo e la famiglia della sposa prima delle nozze) ai genitori del ragazzo.
Tra i Lango, popolo nilotico del centro-nord ugandese, il termine “Mucoso Dako” indicava gli “uomini che avevano assunto un stato di genere alternativo ” erano trattati come donne e potevano sposare altri uomini, mentre gli Nzima del Ghana vantano una lunga tradizione di matrimoni omosessuali con adolescenti o poco più grandi, in modo simile alla pederastia dell’antica Grecia.
In fine, in alcuni paesi agricoli di lingua bantu i rapporti omosessuali erano conosciuti come “bla-Nku” ed erano interpretati come una medicina per la ricchezza, trasmissibile solo fra uomini attraverso il coito anale.
Diversamente, la documentazione sull’omosessualità femminile è più scarsa, sebbene esista in molte culture come tra gli Zande, nelle famiglie poligame e anche registrata tra i Siwa in Egitto. In Benin, si ritiene che il rito di passaggio di un ragazzo e i matrimoni omosessuali fra donne esistessero da lunghissimo tempo nelle società africane dalla Nigeria al Kenya, fino al Sud Africa. Nel regno di Ndongo, attuale Angola, la donna guerriero Nzinga, governò come re vestita da uomo ed era circondata da un harem di soli giovani vestiti come donne che si pensa fossero le sue mogli.

Oggi, il Sudafrica è il quinto paese, il secondo fuori dall’Europa, che ha legalizzato i matrimoni omosessuali dal 2006 (post-Apartheid). Il primo e l’unico in Africa. Grazie alla Costituzione sudafricana che dal 2006 garantisce i diritti di gay e lesbiche e ne legalizza il matrimonio, oggi in Sudafrica gli omosessuali dichiarati che prima si nascondevano sono migliaia e, come se non bastasse, i social network pullulano di africani desiderosi di dare spazio ai loro desideri repressi: Nigeriani, Senegalesi, Kenioti, Sudanesi; e più chi ne ha più ne metta.

Conclusione della ricerca


Come hanno affermato Stephen Murray e Will Roscoe: “(…) Sicuramente le forze cristiane e islamiche hanno ampiamente combattuto per sradicarla, sfumando i sistemi sociali e religiosi indigeni del continente, hanno aiutato a demonizzare e a perseguitare il popolo LGBT, aprendo la strada ai tabù che prevalgono oggi. Quello che i colonizzatori imposero all’Africa, non era l’omosessualità ma piuttosto l’intolleranza e i sistemi di sorveglianza e la regolamentazione per poterla sopprimere.”

Dalle nostre parti


In Occidente le cose non vanno meglio: in Polonia decine di piccole città si sono dichiarate libere dall’“ideologia LGBT” (LGBT free zone). L’ostilità dei politici verso i diritti dei gay è diventata un punto critico, che contrappone la destra religiosa ai polacchi dalla mentalità più liberale e la Corte europea dei Diritti umani ha appena condannato la Romania perché non riconosce le coppie dello stesso sesso. In Russia Vladimir Putin ha firmato la legge contro la “propaganda gay”: un provvedimento che proibisce anche tra gli adulti “la promozione” di quelle che vengono definite “relazioni sessuali non tradizionali” oltre a multe e carcere per gli omosessuali ed ha ordinato che le persone LGBTQI+ siano considerate malate per legge e vieta la transizione di genere; in Ungheria, il 7 luglio 2021 è entrata in vigore una nuova legge che trasforma in reato “promuovere” le differenze sessuali e di genere tra i bambini, in contesti educativi, film o pubblicità. L’opacità della legge implica che possa essere applicata in una miriade di contesti diversi. La normativa arrivata sulla scia della legislazione anti-Lgbt che i Ungheria risale a qualche tempo fa con la benedizione del primo ministro Viktor Orbán. L’Estonia punisce abusi e soprusi di carattere religioso insieme a orientamento sessuale, opinione politica, eccetera e, in Italia, i DO.RA, gruppo dalle ideologie fasciste e naziste (nato nel 2012 dall’unione dei gruppi “Ultras 7 Varese” e “Varese skinheads”), si definisce come un’organizzazione politica apartitica e antisistema che si occupa di formazione spirituale, propaganda ideologica, controinformazione culturale e ricerca storica, affermano: “Quando sarà ristabilito il regno di Giustizia, le persone Lgbt non esiteranno più.”
Per sfidare l’omofobia di Orban, Lewis Hamilton sale sul podio del Gran Premio d’Ungheria del 2023 con un casco arcobaleno e dichiara: “Voglio dare il mio supporto contro le leggi anti LGBTQIA+, codarde e inaccettabili.” E Sebastian Vettel, no da meno, sale anche lui sul podio con scarpe e maglia arcobaleno.

Nel mondo


Brasile: durante la presidenza di estrema destra di Bolsonaro, i “gay” erano perseguitati e puniti. Oggi, col nuovo governo è l’omofobia che viene punita con il carcere; evidentemente si può!

Scozia, Islanda, Spagna e Grecia: sono solo le ultime tre nazioni ad approvare leggi in questo senso, altri Stati già hanno compiuto questo passo.
In Belgio “gender fluid” possono cambiare genere nel certificato di nascita più volte nella loro vita, mentre in Italia per cambiare i documenti servono un’operazione chirurgica e il parere di uno psicologo.

I deliri del potere


Durante gli anni ’80, tristemente noti anche per la diffusione dell’HIV, parecchi politici e capi religiosi un po’ di tutto il mondo, lasciarono credere con il bene placido della scienza che:
1 – l’infezione riguardasse solo omosessuali e tossicodipendenti.
2 – che fosse un castigo divino a causa dell’omosessualità, pratica “contro natura e contro il volere di dio”.
Ne seguì che gli omosessuali iniziarono ad adottare protezioni di vario tipo, mentre gli altri, gli eterosessuali “sani” continuarono ad avere rapporti non protetti convinti che né il virus, né l’ira divina li avrebbe neppure sfiorati. Il risultato fu una netta diminuzione della malattia nella comunità LBGTQI+ e una diffusione dell’infezione a macchia d’olio tra gli eterosessuali.
Qualcosa di simile avvenne in tempi più recenti con la diffusione del Covid 19. Per l’ex consigliere romano del Movimento 5 stelle Massimo Quaresima, i vaccini ani Covid erano portatori del virus del Covid. Contemporaneamente, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò affermò che il “Corona Virus è la conseguenza di sodomia, matrimoni gay e pornografia. Dio punisce”; anche secondo il vescovo brasiliano Henrique Soares da Costa “la pandemia è stata scatenata dall’ideologia gender, dai diritti gay e dall’aborto” ma, ironia della sorte, il vescovo, morì di Covid nell’ospedale Memorial São José, a Recife. Anche l’arcivescovo ucraino Filaret fu ricoverato in ospedale per aver contratto il virus dopo aver sentenziato che: “La pandemia è la punizione di Dio per i gay e il matrimonio tra persone dello stesso sesso: questa la causa del coronavirus». Vi è poi la “doppietta” di Fabio Tuiach, consigliere comunale a Trieste che in un primo tempo disse che: “Il Covid è una punizione divina per i gay.” E, anche in questo caso Fabio Tuiach ha contratto il Covid. Poi, per non smentirsi e ignorando che Gesù nacque ebreo e il Cristianesimo fu il portato dei suoi insegnamenti, ha anche affermato che: «Liliana Segre ha detto che Gesù era ebreo e da cattolico mi sento offeso!»
Contemporaneamente il 23 gennaio 2019 il quotidiano Libero titolava in prima pagina a caratteri cubitali: ”c’è poco da stare allegri, calano fatturato e Pil ma aumentano i gay” e come sottotitolo riportava: ”Tre imprenditori su 4 fuggono dalla ricevuta elettronica e l’economia soffre. Gli unici a non sentire la crisi sono gli omosessuali: crescono in continuazione.”
Discriminazione e dileggio, quindi. Ma non solo anche accuse scientificamente infondate mosse per aizzare gli animi e incitare all’odio: Giuseppe Cannata di Fratelli d’Italia, vice presidente del Consiglio comunale di Vercelli ha detto: “Ammazzateli tutti ste lesbiche, gay e pedofili!” Al di là della violenza con cui si è espresso, tale commento è pericolosissimo, oltre che inesatto perchè mette sullo stesso piano omosessualità e pedofilia (che tocca sia uomini che donne), dimenticando che i pedofili insidiano bambini e bambine e non sono assolutamente interessati agli adulti.

Fine seconda parte. Se ti sei perso la prima parte clicca qui per leggerla e approfondire l’argomento!

Se ti stai chiedendo perchè abbiamo condiviso questa ricerca, è perchè i nostri allievi di make-up hanno la possibilità di partecipare durante l’anno a seminari di carattere sociale e culturale tenuti dal maestro Stefano Anselmo, fondatore dell’accademia di trucco a Milano.

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